Elena Germani Psicologa e Psicoterapeuta del Benessere

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Una mamma che segue la pagina Facebook mi ha scritto chiedendomi se parlare di terrorismo a suo figlio e cosa dirgli in merito agli ultimi attacchi: “E’ meglio non dire nulla o è giusto parlargliene? Ma cosa dirgli? E, soprattutto, come dirglielo?”

Berlino, Nizza, Monaco, Parigi, Bruxelles, per citare alcuni episodi recenti… Moltissimi genitori si trovano di fronte al dubbio se raccontare e spiegare ai figli ciò che sta succedendo oggi. Si chiedono come farlo nel modo migliore e a quale età sia bene spiegare la situazione.

Certamente, lo scenario attuale è estremamente complesso. Quindi bisogna valutare cosa poter raccontare ai propri figli per aiutarli a capire la situazione ma senza farli spaventare. E sicuramente fare finta di niente e che non sia successo nulla non è la strategia adatta.

Coi bambini è meglio essere sinceri: raccontare loro una bugia e dipingere una situazione “tutta rosa” significa isolarlo dal mondo, nel quale c’è il bene ma anche il male. Ricordiamoci che i bambini ascoltano moltissime storie intrise di lotte tra il Bene e il Male. Lotte che, dopo tutto, i bambini conoscono e di cui colgono la complessità.

Quando vogliamo affrontare l’argomento “terrorismo”, in primo luogo dobbiamo tenere a mente che bambini e ragazzi “sentono” e percepiscono i nostri stati d’animo e le nostre emozioni. Quindi, per prima cosa, è bene cercare sempre di essere tranquilli e testimoniare fiducia e speranza. Tranquillizandoci, aiuteremo anche loro.

Il secondo punto fondamentale da tenere sempre a mente è il fatto che ogni bambino è a sé: ogni bambino ha una propria storia e quindi ognuno ha una sensibilità, un grado di maturazione e un livello di sviluppo emotivo personali. Ci sono bambini che non pongono nessuna domanda, mentre altri genitori potrebbero essere stati “travolti” da una raffica di domande cariche di angoscia e spesso dirette e schiette: “Ma i terroristi chi sono?”, “Perché uccidono le persone?”, “Possono venire anche qui?”, “Possono uccidere anche noi?”. Domande spiazzanti e cariche di preoccupazione che forse alcuni genitori in questo momento storico temono di sentirsi porre dai propri figli.

Di seguito, provo a riassumere delle indicazioni di massima, che non sono da applicare “alla lettera” ma da adattare al bambino che abbiamo di fronte.

Innanzi tutto possiamo a grandi linee distinguere tre macro-fasce in base all’età del bambino: fino ai 5 anni, dai 6 ai 10 anni e dagli 11 ai 13 anni.

Ovviamente a nessuno fa piacere ascoltare notizie tragiche e sarebbe meglio che i bambini più piccoli non avessero accesso a questo tipo di informazioni. Però talvolta accade che i genitori parlino delle notizie o guardino i telegiornali in presenza dei figli più piccoli, pensando che non ascoltino o non capiscano quanto viene detto. Purtroppo non è così: i bambini ascoltano sempre, si pongono domande e, inoltre, cercano di spiegarsi ciò che non capiscono. Per questo motivo, è importante dire qualcosa al bambino nel caso in cui dovesse sentire questo tipo di notizie. Il modo migliore per far loro capire ciò che sta accadendo senza spaventarli è far riferimento a qualcosa che conoscono, come per esempio le favole. Si potrebbe per esempio dire loro che, proprio come nelle favole che leggono con mamma e papà, anche nel mondo ci sono i cattivi ma che i buoni faranno il possibile per sconfiggerli e metterli in prigione. Potrebbe essere utile (e talvolta necessario) accogliere fisicamente i bambini: prenderli in braccio e far sentire loro la nostra presenza.

Ricordiamo che è fondamentale ascoltarli e accogliere le loro paure, rassicurandoli. Con bambini così piccoli potrebbe essere utile far disegnare la paura, magari insieme al genitore che si premurerà di inserire elementi di colore chiaro, multi-colori e “belli”.

Un po’ diversa è la situazione per quanto riguarda i bambini dai 6 fino ai 10 anni: è giusto che siano informati su quanto sta accadendo, anche perché a scuola ne sentiranno parlare, ma contemporaneamente è necessario proteggerli e rassicurarli in merito al fatto che gli adulti stanno affrontando il problema e stanno cercando di risolverlo.

Un concetto importante da spiegare è che non si tratta di una “guerra”, ma di “terrorismo”. I bambini fin da piccoli imparano il concetto di “guerra”: giocano alla guerra e il loro fine è quello di vincere. È bene sfruttare queste conoscenze spiegando per differenza il concetto di terrorismo: ovviamente non è necessario scendere nei dettagli ma è sufficiente dire loro che i terroristi sono un gruppo di poche persone che hanno deciso di colpire a caso facendo esplodere bombe in tutto il mondo. Per questo tutte le Nazioni, i capi di Stato e la polizia si stanno organizzando per affrontarli e fermarli. Teniamo sempre a mente che quanto più un bambino è piccolo, tanto più avrà bisogno di essere rassicurato sul fatto che il male e i cattivi verranno sconfitti prima o poi. A questa età per combattere la paura è necessario parlarne.

È importante tenere sempre a mente che viviamo in una società multiculturale e quindi bisogna stare attenti a non demonizzare i compagni islamici ma piuttosto proporre momenti per rinsaldare l’amicizia tra i bambini.

Aprendo una parentesi sulle possibili reazioni, dai bambini più piccoli possiamo principalmente aspettarci pianto oppure silenzio. Il pianto, se è un pianto di dolore e non di paura, è una reazione giusta e normale per la morte di persone innocenti e va accolto: i bambini vanno consolati e rassicurati, ripetendogli che i terroristi sanno puniti. Se invece il bambino si chiude nel silenzio, è necessario valutare come muoversi. Il silenzio potrebbe essere dovuto al fatto che il bambino è soddisfatto delle spiegazioni ricevute oppure, al contrario, ad una difficoltà nel chiedere e porre ulteriori domande.

In questo secondo caso, come conseguenza, potrebbero presentarsi problemi durante il sonno (incubi o enuresi). Se dovesse accadere, la cosa migliore è creare un dialogo col bambino così che senta da parte dei genitori la disponibilità a parlare ancora dell’argomento.

Quando invece abbiamo di fronte bambini nella fascia delle scuole secondarie di primo grado (11-13 anni), le cose si complicano un pochino perché si aspettano delle spiegazioni. A questa età infatti i ragazzi non credono più in modo assoluto nel potere degli adulti: mentre prima credevano nell’onnipotenza dei genitori, adesso li mettono in discussione. Per questo è importante dir loro la verità e la gravità della situazione.

Con gli adolescenti è bene spiegare, cartina geografica alla mano, cosa sta accadendo nel modo più chiaro e preciso possibile, utilizzando magari anche articoli di giornale. Anche in questo caso, è bene ricordare che, vivendo in una società multiculturale, dobbiamo fare attenzione a quanto diciamo per evitare di creare stereotipi culturali che non portano da nessuna parte. Come per i bambini più piccoli, anche per i ragazzi è bene favorire momenti di scambio e conoscenza con ragazzi islamici perché se ci si conosce bene ci si sente amici e non nemici. Le scuole ormai sono multietniche e questi attentati mettono a dura prova la volontà di integrazione.

Per quanto riguarda le reazioni degli adolescenti, sarà probabile che i ragazzi si “chiudano nella propria stanza” e nel silenzio, come a voler elaborare quanto appreso. È importante che sappiano che i genitori sono disponibili ad aiutarli e a parlare dell’argomento per affrontare la loro paura.

Chiudo con le parole di Silvia Vegetti Finzi, docente di Psicologia all’Università di Pavia e psicoterapeuta per i problemi dell’infanzia che da bambina scampò alle persecuzioni naziste grazie ad una falsa identità: “Dobbiamo avere fiducia nella capacità dei nostri figli di superare anche questo momento, come hanno fatto altre generazioni prima di loro, in momenti anche peggiori”.